Il regolamento contrattuale, sia di origine interna (ossia votato all’unanimità dai proprietari), sia di origine esterna (allegato al contratto di compravendita dal costruttore e accettato espressamente da tutti i compratori) è un documento rigido. La giurisprudenza in origine riteneva, infatti, che il regolamento potesse essere modificato soltanto col quorum richiesto per la sua formazione, cioè l’unanimità.
Tale rigidità permetteva al solito bastian contrario, magari animato da astio nei confronti di qualche vicino, di impedire la modifica di articoli del regolamento ormai desueti, portando così alla paralisi la vita dello stabile.
Se ci guardiamo indietro, possiamo notare come alcuni cambiamenti storici abbiano avuto un impatto molto forte sulla vita di condominio.
Fino agli anni cinquanta, soprattutto nei piccoli comuni, le palazzine e le corti erano abitate da famiglie numerose, così da rendere la cooperazione molto più facile e naturale, giacché i residenti erano parte di quella che ritenevano una sola grande famiglia. Tante volte, in alcuni comuni, si può ancora notare come la toponomastica sia legata ai cognomi del nucleo familiare che una volta risiedeva in quella particolare via.
Con l’avvento del fenomeno migratorio e della società dei consumi, invece, è accaduto che le corti, gli stabili, intere cittadine si riempissero di persone non più legate al territorio e nemmeno alla comunità. Così norme di buonsenso che prima erano abitualmente rispettate tra parenti, sono diventate un elemento da dover rendere obbligatorio tra estranei.
Anche la crescita esponenziale del numero di vetture per famiglia ha cambiato radicalmente il volto dei palazzi in Italia; mentre prima era considerato un lusso avere un’automobile, ora le vetture sono spesso commisurate al numero di maggiorenni in famiglia, creando così l’esigenza di aumentare esponenzialmente la disponibilità di posti auto nei condomini.
Infine il lavoro femminile, che in alcune parti della penisola era considerato un’eccezione, rendeva possibile la suddivisione dei compiti di pulizia delle parti comuni tra gli abitanti del palazzo. Ora invece la pulizia di scale, androni e la cura del giardino, è divenuta appannaggio di ditte appaltatrici, poiché la percentuale di donne che lavorano è aumentata e ciò rende impossibile che si occupino delle parti comuni.
Come abbiamo visto, le esigenze umane cambiano. E oggi più rapidamente che mai. Sarebbe quindi molto rischioso e dannoso rendere eccessivamente difficoltosa la modifica del regolamento condominiale, così utile e decisivo per tutti gli abitanti del palazzo.
La Suprema Corte, conscia del problema dell’immobilismo del regolamento contrattuale, ha ripetuto in più sentenze (Cassazione 17694/07) che l’unanimità dei voti è necessaria per la modifica delle sole clausole del regolamento che interessano diritti e interessi individuali dei proprietari. Più precisamente: la Cassazione ha più volte puntualizzato che gli articoli del regolamento contrattuale ben possono essere modificati a maggioranza qualificata (art. 1136 II comma c.c.) quando si limitano a regolare l’uso delle parti comuni, l’amministrazione, il decoro…
Facciamo degli esempi. Per modificare una clausola del regolamento contrattuale che limita la destinazione degli appartamenti del palazzo a solo uso abitativo, trasformandola in una clausola che consente la destinazione degli immobili anche a uso ufficio, occorre l’unanimità dei condomini; mentre per modificare un articolo del regolamento che si riferisce al numero dei consiglieri, è sufficiente la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136 II comma c.c. ovvero la maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresenti almeno 500/1000 del valore dell’edificio.
È assai difficile determinare quando una clausola intacca i tuoi diritti individuali e quando si limita a regolare il godimento delle parti comuni. Affidati quindi a un esperto, come l’avvocato Federico Vittorio Bordogna, per una consulenza sulle questioni condominiali.
A presto! L’avvocato sempre con te!