L’abbandono del tetto coniugale si verifica quando uno dei due coniugi si allontana dalla casa coniugale.
Le motivazioni possono essere le più disparate ed in alcuni casi la legge prevede che questa possa essere causa di addebito.
Le conseguenze, da un punto di vista giuridico, sono regolamentate sia dalla disciplina civile che penale.
• LA DISCIPLINA CIVILE
L’art. 146 del Codice Civile dispone del coniuge, che senza giusta causa si allontana dalla residenza familiare, facendo venire meno l’assistenza morale e materiale (ex art. 143 Codice Civile), è soggetto ad addebito in sede di separazione.
Lo stesso articolo poi riconosce la giusta causa tutte le volte nelle quali le parti abbiano avanzato la richiesta di separazione o annullamento del matrimonio.
La Cassazione (Sentenza n. 8512 del 12 aprile 2006) però si è pronunciata riconoscendo che l’addebito non è dovuto quando l’allontanamento, anche senza la suddetta richiesta, si è verificato a causa di una condotta contraria, da parte di uno dei coniugi, agli obblighi matrimoniali, tale da rendere impossibile il procrastinarsi della convivenza.
Un esempio potrebbe essere costituito dall’aver intrapreso, da parte di uno dei coniugi, una relazione extraconiugale oppure dalle violenze perpetrate da uno dei coniugi nei confronti dell’altro.
Questi sono casi nei quali la condotta non conforme di uno dei due è stata la causa scatenante della fine del rapporto coniugale e pertanto giustifica la fine volontaria della convivenza.
La ratio di tale decisione è ravvisata, secondo la giurisprudenza, nel venir meno della “ragione di carattere interpersonale” che lega sentimentalmente i coniugi.
Ovviamente l’onere della prova spetta a colui che ha abbandonato il tetto coniugale il quale dovrà esporre i motivi che hanno cagionato l’impossibilità di prosecuzione del rapporto.
• IL CONCETTO DI ADDEBITO
Qualunque sia la connotazione che si vuole attribuire al concetto di addebito, sicuramente esso non coincide, o per lo meno non sempre, con quello di risarcimento.
L’art. 151 del Codice Civile disciplina questa pratica giudiziaria, e, ove venga richiesta dalla parte che ha subito l’abbandono, il giudice pronuncerà la sentenza di separazione riconoscendo o meno l’addebito a carico della parte che ha violato uno dei doveri matrimoniali sanciti dall’articolo 143 del Codice Civile.
L’addebito può essere richiesto, e riconosciuto, anche a carico di entrambe le parti.
La Cassazione Civile si è pronunciata innumerevoli volte in materia stabilendo che, condizione sine qua non, ai fini dell’attribuzione dell’addebito, è che la violazione sia avvenuta antecedentemente rispetto alla richiesta di separazione o che questa abbia cagionato l’impossibilità di prosecuzione della convivenza pur in assenza di tale richiesta.
L’addebito provoca conseguenze per chi ne è gravato e riguarda sia l’impossibilità di chiedere il mantenimento, sia la perdita dei diritti successori nei confronti del coniuge.
Il primo caso prevede che il coniuge, che è autore del comportamento contestato, anche se economicamente più svantaggiato rispetto all’altro, non può chiedere di essere mantenuto.
Al limite, nel caso in cui egli versi in condizioni di indigenza, può chiedere solamente gli alimenti.
Nella seconda ipotesi invece la legge dispone che in attesa della sentenza che dispone il divorzio, qualora sopraggiunga la morte del coniuge che ha subito l’abbandono, l’altro non può assumere la qualità di erede, come invece è disposto dalle norme in materia di successione.
• L’EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI GIUSTA CAUSA
La casistica delineata dalla Corte Suprema in materia contempla nuove ipotesi che perfezionano il concetto di giusta causa giustificando l’abbandono del tetto coniugale tutte le volte nelle quali queste si verificano.
Ad esempio l’addebito non viene riconosciuto al marito infedele nel caso in cui la moglie non voglia avere figli. Ancora è stato negato l’addebito al marito fedifrago, convivente con l’amante, quando il coniuge soccombente aveva dato luogo, a sua volta, ad una separazione di fatto.
• L’ABBANDONO DEL TETTO CONIUGALE: RISVOLTI DI RILIEVO PENALE
L’art. 570 del Codice Penale riconosce la responsabilità del coniuge che, abbandona il tetto coniugale sottraendosi, in questo modo, agli obblighi di assistenza dell’altra parte, oppure ne dilapida i beni oppure gli sottrae i mezzi di sussistenza.
Questa responsabilità però non si concretizza tutte le volte nelle quali la separazione non sia avvenuta per sua colpa, oppure, come sentenzia la Cassazione penale (Sentenza n. 22912/2013) tutte le volte nelle quali si configuri una giusta causa che renda impossibile la prosecuzione della vita coniugale sotto lo stesso tetto.
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