Il credito, per definizione, si riferisce a una somma pecuniaria che spetta in virtù di un pregresso rapporto di provvista. Generalmente alla base vi è una relazione di natura contrattuale, trattandosi, in più della volte, di un inadempimento di obbligazioni assunte precedentemente. Il riferimento normativo è l’art. 1218 c.c., che impone al debitore che non ha eseguito esattamente la prestazione di risarcire il danno cagionato. La prospettiva è completamente vittimologica mirando la somma ristoratrice al ripristino della sfera giuridica del creditore riportandola al momento immediatamente antecedente all’inadempimento (a differenza della sanzione penale che mira alla punizione del reo sebbene in un’ottica rieducativa). Il diritto al risarcimento non sorge se il debitore, evadendo correttamente il suo doppio onere probatorio, dimostra che la mancata prestazione è determinata da impossibilità e che essa non è eziologicamente riconducibile a una sua condotta.
Se quanto detto vale per l’inadempimento contrattuale non può mancare un cenno anche alla responsabilità extracontrattuale, che si caratterizza per l’assenza di un rapporto tra le parti basandosi invece sulla violazione del generale principio, di derivazione romanistica, del “neminem ledere” ossia non recare danno alla sfera giuridica altrui. Il fondamento legislativo è rinvenibile nell’art. 2043 c.c., rubricato “Risarcimento per fatto illecito”, laddove la richiesta nasce da un fatto, imputabile dolosamente o colposamente all’autore, fonte di origine di un danno ingiusto. Il risarcimento nasce dal cd. danno- conseguenza ovvero dal pregiudizio concreto che scaturisce eziologicamente dalla condotta.
Questi gli ambiti principali da cui possono scaturire pretese creditorie, rispettivamente per inadempimento di un’obbligazione ovvero in virtù di risarcimento per un danno derivante da fatto illecito e colposo, in uno alle ipotesi di responsabilità precontrattuale, artt. 1337 e 1338 c.c., derivante dal contatto sociale qualificato che si instaura tra soggetti che intraprendono una trattativa rimasta incompiuta per comportamento scorretto. Il dovere, in tali casi, è quello di avere un comportamento leale nelle trattative in virtù della buona fede e di dar notizia circa l’esistenza di causa di invalidità del contratto per evitare di creare un affidamento legittimo. Contravvenire a tali obblighi comporta obbligo risarcitorio dell’interesse negativo, comprensivo delle spese sostenute durante le trattative e del mancato guadagno cagionato dal fallimento di conclusione dell’accordo.
Tale breve excursus giuridico è necessaria premessa al tema del recupero dei crediti fungendo le ipotesi menzionate da possibili fonti degli stessi, soprattutto con riferimento alla disciplina contrattuale visti i presupposti richiesti dall’art. 633 c.p.c. per azionare il procedimento monitorio. È chiaro, infatti, che trattandosi del recupero di crediti ci si trova in una fase patologica del rapporto ove il normale sviluppo di esso è stato turbato da un comportamento di una parte destituito di qualsiasi fondamento legale e privo di idonee cause di giustificazione.
IL CREDITO: NATURA GIURIDICA
Il diritto di credito altro non rappresenta che un’obbligazione pecuniaria detta anche debito di valuta in quanto costituita, fin dall’origine, da una somma di denaro.
Nel caso in cui l’oggetto è diverso, consistendo, ad esempio, in una cosa mobile, l’obbligazione sarà di valore e il denaro verrà in considerazione come surrogato del bene attraverso un lungo procedimento costituito dall’aestimatio (stima economica dell’oggetto), taxatio, rivalutazione e interessi.
La giurisprudenza nei periodi di maggiore svalutazione monetaria amplia i debiti di valore, tra cui le somme che il locatore deve al conduttore, la restituzione per equivalente dei frutti percepiti dal possessore di mala fede, l’indennizzo per arricchimento senza causa.
Caratteristica del denaro è la sua genericità e fungibilità con conseguente inapplicabilità dell’art. 1256 c.c. sull’impossibilità definitiva e temporanea, nonchè dell’1378 c.c. relativo al trasferimento di cosa determinata solo nel genere che ricollega l’effetto liberatorio all’individuazione del denaro da trasferire.
Di recente, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza, adeguandosi al progresso tecnologico, hanno stigmatizzato il denaro in un’ottica maggiormente simbolica quale “ideale unità di misura” e non quale prestazione di per sé. Quanto detto si giustifica in base alla progressiva smaterializzazione di tale bene estendendosi, sempre di più, l’utilizzo di mezzi di pagamento diversi dal denaro, a volte, anche a copertura incerta.
Caratteristica principale del denaro è, inoltre, la naturale fecondità ovvero l’attitudine innata a produrre guadagni. Esso, infatti, produce interessi, obbligazione accessoria rispetto a quella principale. Questi derivano o dal ritardo nell’inadempimento imputabile, interessi di mora, quale prezzo della prestazione, se corrispettivi, solo per crediti liquidi e esigibili, ancora, compensativi, per perequare l’equilibrio economico tra le parti.
Qualità comuni l’accessorietà, il carattere non autonomo rispetto all’obbligazione principale assumendo autosufficienza solo se maturati; l’omogeneità dato lo stesso carattere pecuniario; la periodicità viste le scadenze predeterminate e la proporzionalità essendo commisurati a una percentuale dell’obbligazione.
Queste le caratteristiche giuridiche del credito rispetto alla sua natura e degli interessi, prestazione secondaria, che da esso conseguono.
FASE DI RECUPERO: PROCEDURA STRAGIUDIZIALE
Prima di agire in giudizio è necessaria la costituzione in mora del debitore ovvero una formale intimazione scritta di pagare quanto dovuto. È tale adempimento che la differenzia dal semplice ritardo ovvero non qualificato dalla mora e postula solo la scadenza del termine.
La mora è possibile quando, scaduto il termine, la prestazione non è eseguita per causa imputabile al debitore ed è scaduta anche la richiesta conseguente al semplice ritardo nell’adempimento.
L’art. 1183 c.c. stabilisce che, se non è stabilito il termine, il creditore può esigere immediatamente la prestazione essendo quest’ultimo stabilito dal giudice solo se necessario, in base a usi o alla natura dell’obbligo, e in mancanza di accordo tra i paciscenti.
La norma prosegue distinguendo tra termine rimesso alla volontà del creditore che può essere fissato su richieste del debitore che vuole liberarsi e quello dipendente dall’arbitrio del debitore la cui determinazione compete sempre al giudice.
Nel caso in cui le parti hanno fissato un termine, come contemplato dall’art. 1184 c.c., si presume a favore del debitore. Si stabilisce un favor debitoris essendo il creditore inibito da qualsiasi possibilità di chiedere la prestazione prima della scadenza. Il codice, inoltre, non consente di ripetere quanto pagato prima di tale limite in quanto la prestazione non era dovuta né è configurabile alcun indebito poiché il debitore può anche liberarsi prima del tempo concordato.
Solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 2041 c.c., norma sull’arricchimento senza causa, è possibile far domanda per ottenere un indennizzo che, però, non ha natura risarcitoria.
Se è ben possibile anticipare la prestazione, ciò non può essere fatto in danno del creditore con impossibilità di mora credendi così come se il termine è stabilità a favore del debitore e costui è divenuto insolvente o ha diminuito, per circostanze imputabili, le garanzie rilasciate al momento di costituzione del rapporto, la prestazione può essere immediatamente richiesta.
Nelle ipotesi menzionate, quando il termine è scaduto, è possibile provare a recuperare il credito in via stragiudiziale.
Dalla mora debendi discendono tre conseguenze:
- Obbligo del risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1218 c.c. e 1223 c.c. oppure 1224 c.c. in ipotesi di obbligazione pecuniaria;
- Il rischio della sopravvenuta impossibilita della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore ricade su costui come specificato dall’art. 1221 c.c. poiché si presume che se la prestazione fosse stata tempestiva l’evento non si sarebbe verificato. Tale ragionamento spiega anche la necessità della prova liberatoria;
- Interruzione dei termini di prescrizione.
Presupposti della mora sono principalmente due:
- Il ritardo imputabile al debitore ovvero caratterizzato dal dolo o quantomeno dalla colpa come richiesto dall’art. 1176 c.c. in tema di obblighi di diligenza. Essa è parametrata alla prestazione e alle qualità personali del debitore;
- Il credito deve essere certo e, se condizionato, essa deve essersi verificata; esigibile, possibile di riscossione e liquido, determinato nel suo esatto ammontare.
La messa in mora presuppone una richiesta scritta, per ragioni di certezza in quanto un avviso orale potrebbe essere recepito quale mero sollecito, deve contenere la volontà di riscuotere la prestazione assolvendo la funzione di eliminare la presunzione di tolleranza dell’inadempimento.
Trattasi di atto unilaterale recettizio, proveniente da un’ unica parte, ossia il creditore, producendo effetti quando giunge a conoscenza del destinatario, non negoziale derivando gli effetti dalla legge e non dalla volontà delle parti che influenzano solo il momento genetico.
Da distinguere la mora da particolari facoltà concesse al creditore costituenti atti recettizi negoziali tra cui la diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c., intimazione scritta di adempiere entro un determinato termine la cui infruttuosa decorrenza è causa di risoluzione, e il termine essenziale disciplinato dall’art. 1457 c.c.
La disciplina analizzata non si applica alle obbligazioni negative, la cui prestazione consiste in un non facere, come disposto dall’art. 1222 c.c., in quanto ogni violazione di queste, che nel caso specifico si concretizza in un comportamento positivo, costituisce di per sé inadempimento.
L’art. 1219 c.c., riferito proprio alla costituzione in mora, elenca alcune ipotesi l’intimazione o la richiesta scritta non è necessaria nascendo il ritardo già qualificato come mora.
Viene in rilievo, innanzitutto, il debito derivante da fatto illecito (cfr supra) data la tutela rafforzata che si vuole offrire al danneggiato. Irrilevante, nel caso in esame, anche l’illiquidità ovvero la non determinatezza del credito poiché deriva da una contravvenzione alle prescrizioni ordinamentali. La mora, in questa ipotesi, decorre dal giorno dell’evento dannoso. Trattandosi di debito di valore la somma sarà rivalutata all’attualità in modo da integrare il risarcimento. Ad essere computati anche gli interessi per scaglioni di rivalutazione su singoli anni e non più, come in passato, direttamente sull’intera somma finale. Tale circostanza dovrebbe indurre a qualificarli come moratori, ma la giurisprudenza li ricomprende tra quelli compensativi poiché l’art. 2056 c.c., in tema di valutazione dei danni, non richiama l’art. 1224 c.c. proprio delle obbligazioni pecuniarie. Né possono dirsi corrispettivi essendo assente il requisito della liquidità.
Per evitare tale procedura il debitore può presentare offerta per approssimazione ovvero priva di tutte le formalità richieste come prescritto dall’art. 1220 c.c.
La seconda ipotesi di mora ex re si verifica quando il debitore dichiara per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione (art. 1219 c.c. n. 2).
L’intimazione, in tal caso, non è necessaria, per il debitore, in modo inequivocabile, ha già puntualizzato di non voler più adempiere. La giurisprudenza afferma che la circostanza può evincersi anche da un comportamento concludente e non equivoco del debitore.
La terza ipotesi contempla la necessità di eseguire il debito al domicilio del creditore, cosiddetto debito portable, con scadenza del termine. In questo caso il creditore non deve compiere alcuna azione anche se, secondo un’impostazione esegetica, dovrebbe comunque impartire istruzioni in ordine alle modalità di esecuzione ( art. 1219 c.c. n. 3).
Quelle elencate sono le eventualità espressamente previste da legge cui se ne affiancano altre ovvero:
- Possibilità di escludere la richiesta in via negoziale;
- Superfluità della richiesta per decorrenza di un termine da apparire intollerabile;
- Scadenza di un termine considerato dalle parti essenziale.
È anche possibile la purgazione della mora ossia la rinuncia definita quale atto negoziale con effetti ex tunc, ossia fin dall’inizio, retroattivi, rimettendo il termine al debitore.
L’efficacia diviene ex nunc con valore dal momento del compimento dell’atto in ipotesi di adempimento tardivo, di offerta non formale come prescritto dall’art. 1220 c.c. e per adempimento.
Se il tentativo stragiudiziale fallisce allora sarà necessario rivolgersi al giudice con aggravio di tempi e di costi.
PROCEDURA DI RECUPERO GIUDIZIALE: LA FASE SOMMARIA
Tale procedura è caratterizzata da una doppia fase: una a cognizione monitoria – sommaria e un’altra propria del merito.
L’art. 633 c.p.c., infatti, inserisce il procedimento di ingiunzione all’interno del Libro Quarto dedicato alle procedure speciali tra cui quelle caratterizzate da un esame approssimativo della controversia che, verrà approfondito, solo se e quando il debitore si opporrà alla richiesta.
Questa prima tappa permette al creditore di una somma liquida di denaro o, in alternativa di una determinata quantità di cose fungibili, oppure a chi ha diritto alla consegna di cosa mobile determinata, di domandare al giudice competente, una pronuncia di ingiunzione di pagamento o di consegna.
La norma, dunque, si occupa di due casi specifici ossia un debito pecuniario e un obbligo di consegna.
Nel primo caso la somma deve essere liquida ossia determinata nel suo esatto ammontare; nel secondo deve trattarsi di cosa mobile o determinata.
Si vuole garantire la certezza sul quantum della prestazione esigibile trovandosi il giudice in una fase in cui è inibito entrare nel merito e dovendo effettuare solo un esame prima facie basato sulla mera esistenza dei presupposti prescritti dalla legge.
All’uopo il legislatore indica la necessità dell’esistenza di una prova scritta, come specificato dal successivo art. 634 c.p.c. ovvero una polizza, una promessa unilaterale, una scrittura privata o un telegramma. Gli imprenditori, nell’esercizio della loro attività commerciale, o i lavoratori autonomi per la somministrazione di merci o denaro ovvero per la prestazione di servizi possono anche allegare estratti di scritture contabili se bollati e vidimanti nonché rispettose di tutti i requisiti prescritti da legge. Per crediti erariali forniscono prova idonea i libri o registri della pubblica amministrazione se contengono attestazione sulla regolare tenuta da parte di notaio o funzionario all’uopo autorizzato. I crediti di natura previdenziale costituiscono un’eccezione alla regola generale appena menzionata potendo essere dimostrati attraverso gli accertamenti eseguiti dall’Ispettorato del lavoro.
Secondo caso elencato dall’art. 633 c.p.c. il credito derivante da onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso spese sostenute da avvocati, procuratori, cancellieri, ufficiali giudiziari o da altri che hanno prestato la propria opera nel processo. In tal caso, come prescritto dall’art. 636 c.p.c., la domanda deve essere accompagnata dalla parcella delle spese e delle prestazioni, sottoscritta dal ricorrente e munita del parere della competente associazione professionale sempre che l’ammontare non è determinato in virtù di tariffe obbligatorie.
Tale adempimento è necessario anche per la terza ipotesi contemplata dalla norma ovvero se: “se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata”.
L’ingiunzione di pagamento, inoltre, può essere emessa anche se il diritto sorge da controprestazione o è condizionato se il ricorrente adduce elementi idonei a far presumere l’adempimento della prestazione o il verificarsi della condizione.
Il giudice competente è il Giudice di Pace o quello Ordinario che ha competenza per la domanda ordinaria cui si affianca, nella seconda ipotesi, l’ufficio giudiziario che ha deciso la causa cui inerisce il credito. Avvocati e notai possono rivolgersi al tribunale del luogo in cui ha sede il proprio albo professionale di appartenenza.
La domanda va proposta con ricorso ove è necessario indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e l’istanza come prescritto, in generale, dall’art. 125 c.p.c., con l’aggiunta specifica dell’indicazione delle prove che di producono. Necessaria è anche l’aggiunta del procuratore ricorrente e, quando è ammessa la costituzione personale, la dichiarazione di residenza o di domicilio nel sito ove si trova il giudice adito.
In mancanza di tali riferimenti le notificazioni sono effettuate presso la cancelleria in cui è depositato il ricorso.
Se si domanda la consegna di cose il ricorrente deve dichiarare la somma di denaro ritiene idonea a soddisfarlo quale misura equivalente. Questa è sottoposta al vaglio del giudice circa la sua proporzionalità con possibilità di chiedere la produzione di un certificato emesso dalla Camera di Commercio sull’effettivo valore della prestazione.
Il ricorrente, inoltre, può richiedere la provvisoria esecuzione del titolo quando, secondo il disposto dell’art. 642 c.p.c. , la richiesta si fonda su “su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto da notaio” . Si tratta di un’ingiunzione senza dilazione con fissazione dei termini solo ai fini oppositivi. Essa può essere richiesta anche in presenza di “grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere”. In tali casi l’esecuzione può iniziare anche prima del decorso del termine contenuto nel precetto, ma comunque non prima dei dieci giorni dalla notificazione di esso come imposto dall’art. 482 c.p.c.
Il giudice può rigettare la domanda se la ritiene non giustificata in modo sufficiente e adeguata ordinando al cancelliere di notiziare il ricorrente con invito a provvedere alla prova. Se non si provvedere il giudice rigetta con decreto motivato con possibilità di riproporre la domanda, anche in via ordinaria, mancando qualsiasi effetto preclusivo (art. 644 c.p.c.).
Il giudice può accogliere la domanda con decreto motivato e entro trenta giorni dal deposito del ricorso e ingiungere il pagamento della somma oppure la consegna della cosa o la somma richiesta ai sensi dell’art. 639 c.p.c. entro quaranta giorni con avvertimento che, nello stesso tempo, può proporsi opposizione. Se l’inadempimento persiste o non è proposta opposizione si procede ad esecuzione forzata ai sensi degli artt. 483 e ss. Al cospetto di giusti motivi il termine è ridotto sino a dieci giorni. Nel decreto sono anche liquidate le spese e le competenze con relativa ingiunzione.
L’esecuzione forzata, però, non può iniziare in assenza della notifica del titolo in forma esecutiva e del precetto ovvero dell’intimazione di adempiere nel termine non inferiore a dieci giorni con espresso avvertimento, in caso contrario, dell’inizio della procedura. L’atto di precetto deve contenere, a pena di nullità e come prescritto dall’art. 480 c.p.c., “l’indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo se questa è fatta separatamente o la trascrizione integrale del titolo stesso, quando è richiesta dalla legge” ancora “la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per la esecuzione”. Perde efficacia decorsi novanta giorni dalla notificazione senza l’inizio dell’esecuzione.
L’originale del decreto e del ricorso rimangono depositati in cancelleria mentre sono notificate le copie autentiche. È in tal momento che si determina la pendenza della lite. Se tali operazioni non sono eseguite entro sessanta giorni dalla pronuncia il decreto diviene inefficace.
Il debitore, intimato del pagamento, può proporre opposizione aprendosi, con l’atto di citazione, la fase di cognizione piena.
PROCEDURA DI RECUPERO GIUDIZIALE: LA FASE DI MERITO
In tale fase il giudice indaga il merito della controversia ossia l’effettiva sussistenza del credito.
Competente è il Tribunale del luogo ove appartiene il giudice che ha emesso il decreto e l’atto introduttivo è una citazione notificata al ricorrente con avviso dell’opposizione al cancelliere che annota sull’originale del decreto.
In tale fase si seguono le ordinarie regole del processo essendo completamente terminato il rito speciale a cognizione sommaria.
Su istanza dell’opponente il giudice istruttore, in presenza di gravi motivi, può sospendere anche la provvisoria esecuzione, qualora concessa ai sensi dell’art. 642 c.p.c., con ordinanza non impugnabile.
È possibile anche proporre opposizione tardiva a seguito della scadenza dei termini fornendo la prova di una tardiva conoscenza per difetto di notifica, caso fortuito o forza maggiore. Tale facoltà è preclusa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione.
Nel giudizio di opposizione, vertendo sul merito del contendere, le parti possono anche conciliarsi. In tal caso, il giudice, con ordinanza non impugnabile, dichiara o conferma l’esecutività del decreto oppure riduce la somma.
Se non si addiviene ad una conciliazione il giudice può rigettare l’opposizione con conseguente acquisto di efficacia esecutiva del decreto se ne è sprovvisto oppure accoglie la domanda costituendo la relativa sentenza titolo esecutivo seppur senza perdita di efficacia degli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto che conservano effetti nei limiti della somma o della quantità eventualmente ridotti.
QUALI I TEMPI E I COSTI?
I tempi in una procedura giudiziale variano a seconda delle circostanze concrete.
Se non viene proposta opposizione, infatti, il rito sommario di cognizione è relativamente breve dovendo il giudice, come specificato dall’art. 641 c.p.c., emettere decreto motivato entro trenta giorni dal deposito del ricorso, ingiungendo il pagamento entro quaranta giorni. Non vengono, però, risparmiate le spese di giustizia tra cui quelle necessarie ai fini di una corretta procedura di deposito del ricorso in uno al compenso dell’avvocato che, sebbene, quasi sempre necessario, anche per la composizione delle liti in modo stragiudiziale, aumenta sensibilmente in ordine a un giudizio vero e proprio.
Nel caso in cui venga proposta opposizione si dilatano anche i tempi del recupero aprendosi un vero e proprio processo ordinario dotato anche di un’autonoma fase istruttoria la cui durata può variare in base alla complessità della causa. Di conseguenza aumentano anche i costi dovendo indagarsi il merito della controversia e l’effettiva sussistenza delle ragioni creditorie. L’esperienza sul campo però conferma che i tempi processuali e i costi sono sempre più brevi e meno esosi di quello che è il comune sentire.
L’avvocato sempre con te