Risoluzione del contratto: come recuperare le somme dovute?
L’art. 1453 c.c., in combinato disposto con l’art. 1218 c.c., stabilisce che nei contratti a prestazioni corrispettive quando uno dei contraenti non adempia le sue obbligazioni, il contraente adempiente ha due facoltà chiedere l’adempimento o la risoluzione, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
La suindicata norma consente al creditore adempiente di poter adire l’autorità giudiziaria per chiedere, attraverso una sentenza, che l’altro contrante adempia la sua obbligazione, oppure, chiedere che il contratto si risolva, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
Sovente, nella prassi commerciale (specie per i contratti bancari e assicurativi o nei contratti di adesione) l’inadempimento determina la risoluzione di diritto del contratto, con clausola appositamente sottoscritta.
Orbene, fatta questa premessa, è necessario comprendere come il contraente adempiente possa agire per il recupero delle prestazioni dell’altro contraente.
L’analisi suesposta necessita di un raffronto pragmatico, prendendo ad esempio il contratto di vendita, il quale prevede che a fronte di uno scambio di un bene da parte del venditore vi sia una controprestazione in denaro, a carico dell’acquirente.
Cosa succede se uno dei contraenti non dovesse adempiere alla sua prestazione?
Nei contratti sinallagmatici, come la vendita ad esempio, può succedere che il venditore a fronte del trasferimento del bene, non abbia ricevuto dal debitore la corresponsione del prezzo dovuto o di una parte di esso, nel caso sia stata pattuita una corresponsione frazionata del medesimo.
E’ bene ricordare, che nei contratti di vendita la sola fattura non è sufficiente a dimostrare la prova del credito, se non relativamente al giudizio monitorio; vale a dire che, nel caso venga proposta opposizione a decreto ingiuntivo, la fattura, essendo un documento unilaterale del fornitore, non costituisce prova certa del credito, liquido ed esigibile.
Sicché, l’eventuale opposizione allo stesso decreto ingiuntivo, ne va ad inficiare la portata esecutiva del titolo; conseguentemente il giudice ordinario potrebbe chiedere altri mezzi istruttori per dimostrare la prova del credito.
Quindi si ritiene opportuno stipulare una qualche forma contrattuale nei termini di una scrittura privata e firmata con data certa e anteriore all’insorgenza del credito.
Orduque, prima di adire le vie giudiziarie il creditore adempiente ha la facoltà di inoltrare una “ intimazione di pagamento”, anche a mezzo Pec.
La richiesta di pagamento deve contenere dettagliatamente i riferimenti dell’ordine, il numero di fattura, la somma da versare e l’invito ad adempiere.
Ricordiamo che anche il semplice inoltro della fattura di pagamento è sufficiente come “richiesta di pagamento”.
La diffida serve essenzialmente a interrompere i termini della prescrizione che variano a seconda della tipologia del credito; per i contratti il termine di prescrizione è di 10 anni decorrenti da quando il credito è sorto, cioè da quando è stato stipulato il contratto stesso.
Quali sono gli strumenti per il recupero delle somme non versate?
Qualora la diffida di pagamento sia rimasta inevasa, non rimane che ricorrere al recupero delle somme in via giudiziale
Salvo in ogni caso, esperire, nelle materie contemplate dal legislatore (ad es. diritti reali, condominio ecc..), il tentativo obbligatorio di mediazione, al fine di ottenere un verbale di conciliazione omologato che abbia valenza di titolo esecutivo.
Oppure, qualora la materia non rientri nel tentativo obbligatorio di conciliazione, è possibile con lo strumento della “negoziazione assistita” (DL n. 132/2014) per coloro che abbiano un credito pari o inferiore a € 50.000, invitare l’altra parte, attraverso il proprio legale di fiducia, a conciliare la controversia. Tale procedura non è obbligatoria se si procede direttamente con ricorso per decreto ingiuntivo.
Nel caso in cui la controparte non rispondesse al tentativo di conciliazione extragiudiziale della controversia, solo decorsi 30 gg dalla proposta di “ negoziazione assistita”, il proponente potrà adire il giudice per la risoluzione della controversia.
Come posso adire il giudice?
In caso di inadempimento di prestazioni derivanti da contratto, il creditore potrebbe soddisfare la propria pretesa in due modi: o attraverso un decreto ingiuntivo o instaurando un giudizio ordinario con atto di citazione.
Al fine di esperire un ricorso per decreto ingiuntivo, finalizzato poi ad ottenere un titolo esecutivo, è necessario che il credito sia: certo,liquido ed esigibile; sarà, pertanto, sufficiente allegare al ricorso il contratto o la fattura.
Come esposto in narrativa, la fattura non garantirà la certezza del credito nel caso in cui il decreto ingiuntivo fosse opposto; pertanto, sarà opportuno che il creditore possa allegare in fase di opposizione il contratto di vendita stipulato tra le parti.
Conseguentemente, ottenuto il decreto ingiuntivo e decorsi i 40 giorni dalla sua emissione e in mancanza di opposizione, il decreto diventa titolo esecutivo per effettuare un pignoramento dei beni.
E’ evidente che il creditore, prima di iniziare una procedura esecutiva debba vagliare tutte le possibilità di solvibilità del debitore, vale a dire, valutare che lo stesso disponga di sostanze patrimoniali o reddituali.
Quindi, il ricorso per decreto è una delle strade percorribili per recuperare le somme non versate al contraente adempiente, che nel contempo può aver eseguito la sua prestazione o può aver consegnato un bene al debitore. (Si pensi se il venditore abbia già trasferito il bene al debitore/compratore).
Nel caso suindicato, il venditore potrebbe avere interesse ad ottenere l’adempimento della controprestazione, oppure chiedere la risoluzione del contratto e riottenere la restituzione di quanto corrisposto al contraente inadempiente, salvo in ogni caso ottenere il risarcimento del danno.
Nell’ipotesi in cui il contraente adempiente agisca per l’adempimento chiederà al giudice di emettere una sentenza che obbligherà la controparte ad eseguire le prestazioni dovute, senza inficiare la validità del vincolo negoziale medesimo.
Differentemente, nella risoluzione il contratto si estingue giuridicamente, obbligando il debitore non solo a restituire ciò che ha ricevuto dalla controparte ma anche a corrispondere i danni derivanti dall’inadempimento o inesatto adempimento.
In conclusione, il contraente adempiente qualora propendesse per un giudizio ordinario, dovrebbe non solo dimostrare la sua valida pretesa ( es. esibendo un contratto valido), ma dimostrare di aver eseguito correttamente la prestazione dovuta e di aver tenuto un comportamento diligente; giova, altresì, ricordare che la domanda di risoluzione contrattuale ha effetto preclusivo sulla richiesta di adempimento.
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