Come Avviene il Recupero Crediti
In cosa si sostanzia l’attività di recupero del credito?
Si qualifica come “ recupero crediti” l’attività tesa alla realizzazione della pretesa solutoria del creditore attraverso il recupero bonario o forzoso del credito direttamente nei confronti del soggetto obbligato.
Tale attività di recupero presuppone la costituzione tra le parti di un rapporto di credito che può realizzarsi nella forma di un negozio consensuale (es.: contratto), o nella nascita di un’obbligazione di pagamento ( es.: cambiale), nonché dalla concessione di una garanzia (es.: fideiussione).
Il rapporto di credito può costituirsi da una pluralità di relazioni commerciali che vanno sicuramente a definire la natura del credito medesimo; si pensi, ad esempio, alle forniture di merci, ai contratti di locazione, oppure ai rapporti di natura bancaria.
Per di più, la moltitudine dei rapporti di credito determina anche una diversificazione dei titoli legittimanti e comprovanti la pretesa solutoria dell’avente diritto, con conseguenze differenti anche dal punto di vista dell’azione processuale ( si pensi alla differenza tra mutuo e fattura).
Difatti, per le forniture di merci la fattura non sarà sufficiente da sola ad azionare l’eventuale procedura esecutiva ma sarà necessario azionare un giudizio monitorio finalizzato all’ottenimento di un decreto ingiuntivo.
Differentemente, un contratto di mutuo che costituisce da solo titolo per avviare l’esecuzione forzata sui beni del debitore, non necessita di un giudizio monitoro e per tali ragioni sarà sufficiente la sola notifica di un atto di precetto nei confronti dei soggetti obbligati.
Orbene, prima di adire il Giudice, l’attività di recupero del credito necessita sicuramente di una fase prodromica finalizzata al recupero “bonario” delle somme, tentando di evitare eventuali lungaggini processuali.
Come avviene il recupero in fase stragiudiziale del credito?
Sulla scorta di quanto premesso, il recupero crediti si articola in due fasi: stragiudiziale e giudiziale, differenziandosi concretamente dal punto di vista delle attività atte al soddisfacimento del creditore.
Ne discende che, la fase stragiudiziale ha lo scopo di ottenere immediatamente il soddisfacimento del proprio diritto attraverso una serie di attività strumentali : dal sollecito telefonico alla comunicazione epistolare (diffida ad adempiere).
Sovente accade che società di servizi o istituti di credito si rivolgano a società di recupero crediti, le quali sono strutturate in una modalità tale da curare tutte le fasi del recupero stesso, prevedendo all’interno del loro organico diverse figure: dagli operatori telefonici denominati “credit collector”, oltre a veri e propri uffici legali, spesso esternalizzando l’attività forense a studi esterni alla stessa società.
È, alquanto, pacifico che anche in sede stragiudiziale tale attività necessita sempre del supporto di un legale di un professionista, il quale dovrà sicuramente consigliare il proprio assistito sulle migliori strategie da attuarsi.
Sicché, prima di azionare un giudizio è sempre bene valutare, preliminarmente, la situazione patrimoniale e reddituale del debitore; difatti, sarebbe inutile effettuare un espropriazione forzata di beni se il soggetto inadempiente è sprovvisto di immobili, eventualmente si potrebbe valutare un “pignoramento presso terzi”, quindi provvedere a pignorare una parte dello stipendio direttamente nei confronti del datore di lavoro.
Al riguardo, vi sono degli strumenti che consentono di valutare le sostanze patrimoniali dei debitori, come ad esempio delle visure immobiliari, le quali possono essere richieste presso gli uffici della conservatoria immobiliare nel luogo in cui sono situati gli immobili.
Tale verifica, può, in ogni caso, essere preceduta da un tentativo di recupero immediato del credito vantato attraverso la predisposizione di una “missiva”, la stessa dovrà contenere l’intimazione ad adempiere entro un termine minimo, e contestualmente la dicitura che “il mancato adempimento del debitore potrebbe comportare il recupero in sede giudiziale delle somme”.
A cosa serve la diffida ad adempiere?
La pratica forense ci insegna che prima di adire l’Autorità Giudiziaria, per ottenere la soddisfazione della proprio diritto di credito, sia sempre consigliabile l’inoltro, tramite un legale, di una lettera di diffida ad adempiere.
Nello specifico, affinché la missiva possa avere valore di prova legale, deve contenere tassativamente una serie di elementi, quali: i dati identificativi del mittente e del destinatario, la descrizione del rapporto di credito e del titolo da cui scaturisce la pretesa creditoria, ma soprattutto deve contenere “ l’intimazione ad adempiere entro un congruo termine” decorso il quale si adiranno le vie Giudiziarie.
Difatti, la diffida ad adempiere è regolata dall’art. 1454 c.c., il quale dispone che “ alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto in un congruo termine, con dichiarazione che se decorso inutilmente detto termine, il contratto si intenderà senz’altro risolto”.
Sempre secondo la disposizione normativa, nel secondo comma l’art. 1454 c.c. prevede che “il termine non debba essere inferiore ai 15 giorni, salvo diversa pattuizione oppure, secondo la natura del contratto o secondo gli usi risulti congruo un termine inferiore”.
Al riguardo, nella prassi commerciale il congruo termine viene ridotto , difatti si pensi ai contratti che debbano essere adempiuti presso il domicilio del creditore, in questo caso il termine può essere ridimensionato a 7 giorni.
A titolo esemplificativo, i contratti bancari (prestiti e affidamenti in conto corrente ecc..) prevedono che l’adempimento dell’obbligazione avvenga presso il conto corrente intestato della Banca, in questo caso nei contratti per adesione predisposti dall’istituto di credito il “ congruo termine di adempimento può essere ridotto a 7 giorni”.
Giova, inoltre, ricordare che la diffida ad adempiere a differenza di una semplice lettera di messa in mora deve contenere la volontà di risolvere il contratto a seguito dell’avvenuto inadempimento del soggetto obbligato.
Infatti, in alcuni contratti le parti possono convenire in una clausola ex art 1456 c.c.“ che il contratto si risolava nel caso di inadempimento dell’obbligazione secondo le modalità stabilite, in questo caso il contratto si risolverà di diritto quando la parte interessata intenderà valersi della clausola risolutiva”.
Generalmente, la clausola risolutiva espressa ex art 1456 c.c. è tipica dei contratti bancari, ne consegue che la Banca possa nella missiva fare esplicito rifermento a tale clausola dichiarando che “ a seguito dell’inadempimento il contratto si risolve di diritto ai sensi dell’art. 1456 c.c.”.
Quali sono i vantaggi di un recupero extragiudiziale del credito?
Fatta questa premessa, è necessario comprendere quali siano i vantaggi relativi all’inoltro di una diffida ad adempiere, elencandoli di seguito:
– ottenere immediatamente il soddisfacimento della pretesa creditoria;
– non attendere le lungaggini processuali e tagliare i costi di accesso alla giustizia;
– interrompere i termini della prescrizione del proprio diritto di credito;
Quindi, la diffida serve essenzialmente a interrompere i termini della prescrizione che variano a seconda della tipologia del credito, ad esempio per i contratti il termine di prescrizione è di 10 anni decorrenti da quando il credito è sorto, cioè da quando è stato stipulato il contratto stesso.
Vi sono, tuttavia, ipotesi tassativamente indicate dalla legge ove non sia necessario l’inoltro della diffida, ad esempio: se l’obbligazione derivi da fatto illecito, se il debitore dichiara per iscritto di non volervi adempiere, oppure se il credito è scaduto o l’adempimento doveva svolgersi presso il domicilio del ceditore ( es. contratto di conto corrente).
In alcune situazioni, la diffida può essere anticipata da una mera richiesta di pagamento o il semplice inoltro via pec si una fattura comprovante il credito.
A titolo esemplificativo, si pensi al mancato pagamento di una fornitura di merci in questo caso il creditore, prima di adire le vie giudiziarie ha la facoltà di poter ottenere il pagamento delle somme dovute inoltrando una “ richiesta di pagamento”, anche a mezzo Pec.
Per di più, la richiesta di pagamento deve contenere dettagliatamente i riferimenti dell’ordine, in numero di fattura e la somma da versare, e l’invito ad adempiere; inoltre, anche il semplice inoltro della fattura di pagamento è sufficiente come “richiesta di pagamento”.
In relazione a quanto premesso, anche se alcuni crediti non necessitino formalmente di una diffida è sempre consigliabile predisporla sia per dimostrare di aver azionato la propria pretesa creditoria al fine di interrompere i termini della prescrizione , sia perché tale missiva verrà allegata all’interno del fascicolo telematico, nel caso di giudizio, e quindi costituisce un’importante prova documentale.
Quali sono le conseguenze derivanti dell’inoltro della diffida ad adempiere?
La parte debitrice a cui è stata notificata la diffida ad adempiere, potrebbe comportarsi in due modi: rimanere inerte e attendere l’eventuale azione giudiziaria, oppure proporre un piano di risanamento o rientro, ancor di più una proposta transattiva.
Nel caso in cui il debitore decidesse di rispondere con l’ausilio del proprio avvocato, nella missiva di risposta il legale oltre ad esplicare nella parte iniziale della raccomandata di “aver ottenuto esplicito mandato dal proprio assistito” dovrà indicare le modalità di pagamento (es: rateizzazione), avendo presente di inserire il beneficio ex art. 1186 c.c.
Nella sostanza, significa che il mancato pagamento di una sola delle rate comporta di diritto la possibilità del creditore di adire l’autorità giudiziaria per il recupero delle somme.
Come posso adire il Giudice?
Decorso inutilmente il termine per l’adempimento, il creditore potrà valutare se intentare un’azione giudiziaria contro il debitore, al fine di ottenere un idoneo titolo esecutivo, per poi eventualmente agire con un “ pignoramento”, nelle forme di cui al codice di rito.
Pertanto, qualora il creditore non fosse in possesso di un idoneo titolo esecutivo ( si pensi alla fattura) potrebbe instaurare, dando mandato ad un avvocato, un procedimento di ingiunzione al fine di agire esecutivamente nei confronti del debitore.
Differentente, qualora il creditore fosse in possesso di un titolo esecutivo ( es. contratto di mutuo, cambiale scaduta, assegno insoluto), potrebbe notificare al soggetto debitore un’ “intimazione di pagamento nelle forme dell’atto precetto”, per poi avviare direttamente la procedura esecutiva nei confronti dello stesso obbligato, salvo quest’ultimo decida di adempiere alla propria obbligazione oppure proponga un piano di risanamento della crisi finanziaria.
Quali sono le condizioni di ammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo?
Il procedimento d’ingiunzione ha la funzione di offrire al creditore uno strumento di tutela immediata che gli permetta di acquisire in modo rapido , rispetto al giudizio ordinario, un titolo per agire esecutivamente nei confronti del debitore.
Pertanto, il decreto ingiuntivo viene emanato in assenza di contraddittorio tra le parti, ovvero inaudita altera parte, e si qualifica come provvedimento a carattere esclusivamente documentale.
I requisiti per ottenere un decreto ingiuntivo sono indicati nell’art. 633 c.p.c., rubricato “condizioni di ammissibilità”; nello specifico, il creditore può ottenere un decreto ingiuntivo solo nei casi in cui il credito sia certo, liquido ed esigibile.
Pertanto, potrà chiedere l’ingiunzione di pagamento il creditore che abbia un credito certo quindi provato e non contestabile, liquido che sia determinato in un dato ammontare, ed esigibile, ovvero immediatamente riscuotibile.
A titolo esemplificativo, il creditore che abbia una fattura insoluta, di una fornitura di merce pregressa, potrà ottenere il decreto ingiuntivo solo se la merce è determinata nel suo ammontare e se la fattura sia già scaduta.
In conclusione , non si può chiedere l’ingiunzione di crediti che non sono determinati nel genere oppure di crediti che maturano successivamente alla richiesta di ingiunzione medesima.
Inoltre, l’art. 633 cpc dispone che “ è creditore di una somma liquida di denaro, di una determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una determinata cosa mobile” il giudice pronuncia ingiunzione di pagamento, nei seguenti casi:
- a) se il credito è fatto valere su prova scritta;
- b) se il credito riguarda onorari ( prestazioni giudiziali estragiudiziali) o rimborso spese fatte da avvocati, cancellieri e ufficiali giudiziari;
- c) se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai o altri esercenti la libera professione;
Cosa si intende per prova scritta?
Sulla scorta di quanto premesso, il ceditore che intenda ottenere un’ingiunzione di pagamento deve necessariamente dare “ del suo credito prova scritta”.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che “ per provare i fatti costitutivi di un diritto di credito sia necessaria una prova meritevole di fede quanto di autenticità, proveniente dal debitore o da un terzo che abbia intrinseca legalità anche se priva di efficacia probatoria assoluta” . ( Cass. n. 13429/2000)
Inoltre, rientrano, a norma dell’art. 633 c.p.c., nel novero di prove scritte anche “ le polizze e le promesse unilaterali per scrittura privata e i telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile” (art. 634 c.p.c.).
A titolo esemplificativo, il credito relativo al pagamento degli onorari professionali prevede che il ricorso sia accompagnato dalla parcella delle spese del professionista, sottoscritta dal professionista e corredata del parere del Consiglio dell’Ordine di appartenenza.
Invece, per i crediti di natura bancaria , come ad esempio i contratti di conto corrente, la prova scritta è data allegando al ricorso l’estratto conto certificato.
E ancora, sono prova scritta i titoli di credito, in particolare la cambiale e l’assegno richiamati dall’art. 642 cp, anche ai fini della concessione della provvisoria esecuzione.
Giova, altresì, ricordare che i titoli di credito suindicati sono già titoli esecutivi e pertanto si potrebbe azionare direttamente la procedura esecutiva con la notifica del solo precetto, a meno che i titoli non siano scaduti da 6 mesi per gli assegni e oltre 3 anni per le cambiali.
In conclusione, se i titoli summenzionati fossero scaduti allora il creditore potrebbe ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art 642 c.p.c. .
Cosa succede nelle ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo?
Nel giudizio monitorio il Giudice, valutata preliminarmente l’ammissibilità del ricorso ( es. competenza), deve poi verificare in seconda battuta se il credito abbia i requisiti richiesti dall’art. 633 c.p.c., e solo successivamente potrebbe emettere nei confronti dei soggetti obbligati “un’ingiunzione di pagamento”.
Inoltre, qualora sussistano i requisiti ex art. 642 c.p.c., potrà essere concessa al creditore procedente la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, nelle ipotesi in cui vi possa esservi “un pericolo di grave pregiudizio nel ritardo del pagamento del debitore”.
Si pensi, ad esempio, se sugli immobili del debitore, su cui poi eventualmente il creditore andrà ad azionare la relativa procedura esecutiva, siano presenti altri gravami pregiudizievoli, e che pertanto vi è pericolo che nelle more i beni potrebbero essere alienati.
In questo caso, il creditore potrebbe essere pregiudicato nel soddisfacimento della sua pretesa e per tali ragioni potrebbe nel ricorso stesso chiedere la provvisoria esecutorietà dello decreto ingiuntivo.
Qualora, invece, il giudice conceda la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, l’avvocato potrebbe provvedere, immediatamente dopo alla pubblicazione del provvedimento, alla notifica dello stesso allegando al ricorso il provvedimento munito dell’attestazione di conformità.
Mentre, per contro, se il decreto non fosse immediatamente esecutivo ai sensi dell’art. 642 c.p.c., in quest’ultimo caso, il creditore dovrebbe attendere il termine di 40 giorni entro il quale il debitore potrebbe proporre opposizione avverso il decreto medesimo.
Ne discende che, decorso tale termine si procederà alla notifica del ricorso e del provvedimento (scaricato dal programma Epc) accompagnato dalla dicitura “di decreto definitivamente esecutivo” (per ottenere la formula si fa un’apposita istanza telematica al giudice del giudizio monitorio).
Cosa accade nelle ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo?
Invece, se il debitore presentasse opposizione entro i 40 giorni si instaurerebbe un normale giudizio ordinario di cognizione, ove il giudice potrebbe, qualora fosse concessa, revocare con ordinanza interlocutoria la provvisoria esecutorietà e procedere ad una rivalutazione (in termini di calcolo) del credito vantato dall’opposto.
In conclusione, il giudice dell’opposizione potrebbe accogliere totalmente o parzialmente l’opposizione oppure rigettarla con conseguente condanna alle spese del soccombente, previo esperimento prima del giudizio del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Come avviene l’esecuzione forzata?
Con il possesso di un valido titolo esecutivo ( es. decreto ingiuntivo esecutivo,sentenza esecutiva, cambiale o contratto di mutuo), il creditore potrebbe azionare la procedura esecutiva.
Al riguardo, per espropriazione forzata si intende “quel tipo di processo esecutivo costituito da un complesso di atti diretti a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti parte del suo patrimonio al fine di convertirli in danaro”.
L’espropriazione forzata può essere mobiliare, immobiliare oppure presso terzi , ed in via generale il procedimento di espropriazione si svolge in 3 diverse fasi, generalmente nell’espropriazione di tipo immobiliare, si procede prima al pignoramento dei beni dell’esecutato, poi alle vendita dei beni immobili per trasformarli in denaro liquido e infine verrà predisposto, da parte del professionista delegato, un idoneo piano di riparto, il quale deve essere approvato da tutti i creditori e dal giudice.
Come innanzi detto, prima di iniziare ed iscrivere a ruolo la procedura esecutiva è necessario che il legale debba effettuare una serie di valutazioni prodromiche per capire se si possa procedere o meno alla vendita forzata dei beni del debitore, e se in ogni caso ci si possa ricavare qualcosa per soddisfare il proprio credito.
Ricerca telematica dei beni da pignorare.
Nella pratica prima di avviare l’esecuzione forzata, onde evitare di far sopportare al proprio cliente ulteriori costi con il rischio di un pignoramento con esito negativo, sarebbe opportuno fare delle ricerche sugli eventuali beni da aggredire.
Al riguardo, si potrebbero richiedere visure immobiliari a professionisti specializzati o direttamente presso la conservatoria dei Registri Immobiliari, oppure ai sensi dell’art. 492 –bis c.p.c., presentare un’apposita istanza al Presidente del Tribunale affinché venga autorizzato da quest’ultimo (o da un giudice delegato) alla ricerca dei beni da pignorare.
Tale istanza può essere depositata anche in via telematica con allegati titolo esecutivo e atto di precetto.
Quali sono le fasi della procedura esecutiva?
Fatte le relative ricerche immobiliari, l’avvocato provvede alla notifica del precetto accompagnata e eventualmente dal titolo esecutivo.
Inoltre, a pena di nullità il precetto deve riportare la trascrizione integrale del titolo quando questo è costituito da una scrittura privata autenticata, da una cambiale, da un assegno o da un verbale di mediazione. In tale ipotesi, l’ufficiale giudiziario provvede ad attestare la conformità della trascrizione.
A titolo esemplificativo, per i mutui di natura ipotecaria la legge prevede che alla notifica del precetto segua anche la notifica del titolo in originale che verrà allegato all’atto medesimo, di cui verrà rilasciata copia in sede di notificazione ai precettati.
Per di più, il precetto deve contenere oltre i dati anagrafici del creditore i dati degli intimati l’elezione del domicilio della parte istante nel comune ove ha sede il giudice dell’esecuzione ecc… .
A pena di nullità l’atto di precetto deve contenere “l’intimazione al debitore di adempiere entro un termine, non inferiore a dieci giorni, con l’avvertimento che scaduto tale termine si procederà con l’esecuzione forzata, senza ulteriori avvisi”.
Sempre a pena di nullità, il precetto deve contenere, altresì, la formula che “ il debitore possa, con l’ausilio di un organismo di ricomposizione della crisi o di un professionista delegato porre fine alla situazione di sovraindebitamento”.
In conclusione, qualora il debitore presenti un’apposita domanda di “ricomposizione della crisi”, l’eventuale procedura esecutiva iniziata può essere sospesa.
Iscrizione a ruolo della procedura esecutiva e casi pratici.
Sicché, eseguita la notifica del precetto l’avvocato ha la possibilità di procedere all’espropriazione forzata dei beni trascorsi 10 giorni dalla notifica e entro i 90 giorni successivi alla stessa.
Ad esempio, si pensi ad un soggetto che abbia ottenuto una sentenza di condanna per risarcimento danni provvisoriamente esecutiva ex lege e munita di formula esecutiva, nell’ipotesi de quo l’avvocato provvederà alla notifica della sentenza con pedissequo precetto e trascorsi 10 giorni dalla notifica , il legale successivamente provvederà ad azionare la procedura tesa all’esecuzione forzata dei beni.
Quindi dopo la notifica del precetto, nei termini summenzionati, si procede alla predisposizione dell’atto di pignoramento con lo scopo di vincolare i beni del debitore atti al soddisfacimento della pretesa creditoria.
In sostanza, il pignoramento viene eseguito dall’ufficiale giudiziario e deve contenere “ l’intimazione dell’ufficiale giudiziario al debitore di non sottrarre i beni pignorati e i loro frutti alla garanzia di soddisfacimento del creditore”.
Quali sono le conseguenze del pignoramento?
Pertanto, effettuato il pignoramento nelle modalità suindicate, il debitore potrà optare per tre chance, che riportiamo di seguito
– il debitore potrà versare nelle mani dell’ufficiale giudiziario una somma di denaro comprensiva delle spese di esecuzione;
– il debitore potrà chiedere la conversione del pignoramento su altri beni del suo compendio patrimoniale (sempre prima che ne sia disposta la vendita);
– infine il debitore potrebbe chiedere la riduzione del pignoramento quando il valore dei beni sia superiore all’importo dei crediti e delle spese.
Qualora nessuna delle ipotesi suindicate dovesse verificarsi, il creditore procedente potrà depositare l’stanza di vendita o l’assegnazione in pagamento dei beni pignorati ( a seconda se si tratta di pignoramento immobiliare o mobiliare).
Conseguentemente si procederà all’iscrizione a ruolo della procedura attraverso una serie di deposti telematici, allegando gli atti (es.: copia conforme dell’atto pignoramento e del verbale), si ricorda che l’atto principale è rappresentato dalla nota di iscrizione a ruolo generata dal sistema.
In seguito, la vendita e l’assegnazione in pagamento verranno disposte con provvedimento del giudice al fine di trasformare in denaro i beni del compendio patrimoniale del debitore, e soddisfare i creditori che intervengono nella procedura esecutiva, tutelando eventuali prelazioni.
In buona sostanza, nell’esecuzione forzata dei beni immobili si dovrà attendere la vendita degli stessi, con il rischio che un’eventuale svalutazione degli immobili possa lascare alcuni ceditori insoddisfatti.
Per tutte le ragioni suindicate, è sempre preferibile prima di iniziare la procedura esecutiva effettuare una preventiva valutazione e fare un contemperamento tra costi e ricavi derivanti dall’espropriazione forzata, e valutando quindi la possibilità di esperire altre forme di recupero nelle modalità previste dal codice di rito
Difatti, nel caso il debitore fosse sprovvisto di immobili o dal ricavato della vendita non fosse possibile soddisfare le proprie pretese oppure se a concorrere siano più creditori muniti anche di privilegi, il codice di procedura consente di azionare sia una procedura esecutiva mobiliare o presso terzi.
In conclusione, se il creditore non potesse soddisfarsi sul compendio patrimoniale del debitore, oppure decidesse di accelerare le modalità del recupero, potrebbe con l’ausilio del legale azionare un “ pignoramento presso terzi”, ossia pignorare direttamente lo stipendio erogato dal datore di lavoro al soggetto debitore ovvero somme trattenute presso istituti bancari.
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