La questione in analisi si riferisce all’ipotesi del versamento di denaro del padre al figlio per l’acquisto di un immobile.
Si tratta, di certo, di eventualità molto frequente nella pratica tenuto conto delle precarie condizioni lavorative dei giovani e delle molte difficoltà riscontrate nell’ottenimento di un mutuo a causa delle numerose garanzie richieste dalle banche.
Il padre può soddisfare il suo interesse in due modi:
- attraverso un atto di donazione versa il denaro al figlio
- versa il denaro direttamente al venditore
Quest’ultima è l’ipotesi maggiormente controversa sotto il profilo giuridico in quanto di sostanzia nell’adempimento del terzo disciplinato dall’art. 1180 c. c.
La norma così recita: “L’obbligazione può essere adempiuta da un terzo anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione
Tuttavia il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione”.
L’eventualità è quella del soddisfacimento dell’obbligazione da parte di un soggetto estraneo al contratto, nel caso in esame del padre che si surroga al figlio con pagamento di denaro.
Ciò è possibile anche contro la volontà del creditore con l’unico limite rappresentato dalla sussistenza di un interesse personale all’esecuzione personale dell’originario debitore.
Si certo tale evenienza esula dal caso in esame riferendosi a quei contratti cosiddetti intuitu personae ove la scelta della controparte contrattuale è determinata da particolari caratteristiche soggettive.
Si pensi, in tal senso, all’esercizio delle professioni intellettuali laddove l’art. 2232 c. c. impone al prestatore di eseguire personalmente l’incarico assunto data la sua infungibilità e tenuto conto delle sue capacità tecniche e organizzative.
Il medesimo fondamento logico- giuridico sorregge anche la previsione di cui all’art. 1674 c. c. che prevede lo scioglimento del contratto di appalto a seguito della morte dell’appaltatore quando la sua persona è stata il motivo unico e determinante dell’obbligazione.
Tali evenienze, menzionate a titolo meramente esemplificativo, sono eccezione alla generale possibilità di adempimento del terzo previsto dall’art. 1180 c. c.
La disposizione, infatti, considera valido l’atto estintivo anche se posto in essere da un terzo estraneo al rapporto negoziale.
Trattasi di negozio giuridico in quanto atto non dovuto data la terzietà, l’estraneità del soggetto adempimento rispetto al rapporto obbligatorio.
Il terzo, nel caso di specie, il genitore, infatti, non è vincolato ad adempiere agendo spontaneamente e rilevando, dunque, i vizi della volontà. Se un terzo non obbligato adempie vi è un motivo, una causa a supporto dell’atto anche perché nel nostro ordinamento non sono ammessi spostamenti patrimoniali acausali ossia privi di una valida giustificazione. È in tal senso che assumono importanza i vizi della volontà laddove vanno ad incidere, alterandola, sulla conclusione del negozio di adempimento. Il terzo, infatti, errando potrebbe essere convinto di essere legato al debitore originario da un rapporto di provvista in realtà inesistente o viziato. L’adempimento del soggetto estraneo è, dunque, correlato ad una giustificazione eziologica intesa quale obiettivo in concreto avuto di mira dai contraenti.
Tanto premesso, al fine di soddisfare in modo esauriente il quesito iniziale, si rende necessario un inquadramento circa la natura giuridica della fattispecie maggiormente controversa ovvero quella sub 2) in cui il padre decide di aiutare il figlio nell’acquisto della casa versando il denaro direttamente nelle mani del venditore.
Natura giuridica della fattispecie
Il versamento del denaro da parte del padre al figlio per acquistare una casa è riconducibile alla categoria dei cosiddetti negozi indiretti caratterizzati dall’utilizzo di un modello contrattuale tipico, disciplinato dal legislatore nel codice civile, per il raggiungimento di fini ultronei e aggiuntivi rispetto allo stesso.
In altri termini un modello contrattuale già previsto in astratto dal legislatore è predisposto per scopi estranei a quelli propri per cui è stato originariamente creato.
Il riferimento è, dunque, alla causa del contratto, all’obiettivo che i paciscenti intendono perseguire, intesa quale interesse individuale che rende possibile servirsi di contratti tipici arricchendoli con connotazioni personali. In un primo momento la dottrina aveva identificato la causa con il cur debeatur ovvero il perché, il motivo della prestazione, quello recondito in base al quale è dovuto l’adempimento. È stato osservato, però, come la stessa più che alla prestazione si riferisce allo stesso negozio, al medesimo contratto, alla sua funzione e al suo fine, quello tipizzato a priore dal legislatore nelle astratte previsioni del codice civile. In tale ottica tutti i contratti tipici mai potrebbero essere illeciti essendo l’obiettivo previsto dalla legge. I contraenti, però possono utilizzare il tipo astratto colorandolo sulla base delle loro esigenze e sviandolo, in tal modo, dal fine originario per cui è stato inserito all’interno del codice civile. La causa diviene, in tal modo, funzione economico- individuale del contratto consierando il reale intento delle parti. In questo modo considerata la causa ben è possibile che anche i contratti tipici siano illeciti sulla base della personalizzazione effettuata dai contraenti. È proprio a tale riguardo che si ammettono i negozi a causa variabile tenendo conto delle esigenze in concreto perseguite.
La fonte normativa è rinvenibile nell’art. 1322, 1° comma codice civile che attribuisce alle parti la facoltà di determinazione del contenuto del contratto seppur entro i limiti di legge.
Di qui il dovere della valutazione di meritevolezza imposto al giudice avendo le parti adottato sì uno schema contrattuale tipico, ma trasformato, plasmato secondo le loro esigenze.
Nel negozio indiretto, infatti, la causa concreta va al di là, oltre quanto tipizzato dal legislatore.
Si pensi in tal senso, ad esempio, ad un contratto di compravendita con prezzo eccessivamente inferiore rispetto al valore del bene, cosiddetta vendita nummo uno, volendo le parti, in tal caso, perseguire un intento liberale data la sproporzione.
Nella vicenda che qui interessa, al contrario, si è al cospetto di una donazione indiretta poiché il genitore surroga il denaro all’immobile, reale oggetto della liberalità.
La vera intenzione del padre è, infatti, quella di acquistare l’immobile del figlio, ma non attraverso una compravendita diretta, bensì tramite la dazione della somma di denaro finalizzata alla compera della casa.
Si è dinanzi ad una vera e propria donazione sebbene nella forma indiretta in quanto l’oggetto solo apparentemente sono i soldi, ma, in realtà, è l’edificio il reale e concreto oggetto dell’intento liberale del genitore.
Concludendo sull’aspetto problematico sollevato, ovvero l’operazione giuridica che il padre deve porre in essere per aiutare il figlio a comprare una casa, è possibile affermare che si tratta di una donazione indiretta dove solo ad un esame prima facie risulta donata la somma essendo il vero oggetto dell’atto donativo l’immobile che il figlio vuole comprare.
Regime normativo della donazione indiretta
Posto che, per i motivi esposti nel paragrafo precedente, il padre dando i soldi al figlio per l’acquisto di una casa pone in essere una donazione indiretta data la discrasia tra l’oggetto reale donato e l’effettiva attribuzione cui tende l’operazione, è necessaria una disamina delle norme applicabili onde indagare la disciplina effettiva regolamentare dell’ipotesi in esame.
L’art. 769 c. .c. definisce la donazione come un contratto avente ad oggetto l’arricchimento di una parte a favore dell’atra per mero spirito di liberalità ovvero in assenza di qualsiasi vincolo giuridico. La norma chiosa in tal modo: “La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”.
Presupposti della donazione, pertanto, risultano essere lo spirito di liberalità, l’arricchimento con corrispettivo depauperamento e la disposizione del diritto ovvero l’assunzione di un’obbligazione potendo la donazione assumere anche la forma soltanto obbligatoria.
Essa si distingue dalle liberalità d’uso, ossia poste in essere in occasione di servizi resi o in conformità agli usi, sia in relazione all’elemento soggettivo, essendosi al cospetto dell’ “animus bene faciendi”, la volontà di recare un vantaggio, di fare del bene, sia per l’esistenza di un rapporto proporzionale tra il quantum erogato e la prestazione.
La donazione, al contrario, si caratterizza soggettivamente per lo spirito di liberalità inteso quale intento puramente e meramente donativo teso oggettivamente ad incrementare la sfera giuridica, insieme delle situazioni attive e passive, del donatario, il ricevente la donazione, con contestuale e corrispettivo depauperamento del donante, di colui che pone in essere l’atto donativo, del soggetto attivo del negozio giuridico, del contratto posto in essere.
Tali peculiari caratteri della donazione, cioè un puro profitto a fronte di un impoverimento dell’altrui patrimonio solo per generosità, per altruismo, hanno indotto il legislatore a prevedere particolari accortezze nella forma, derogando in tal modo al principio di generale libertà della stessa che governa l’ordinamento civile, al fine di dirigere l’attenzione del donate sull’importanza e sulle conseguenze del proprio atto.
L’art. 782 c. c., a tal fine, impone l’obbligo dell’atto pubblico a pena di nullità specificando che “Se ha per oggetto cose mobili, essa non e’ valida che per quelle specificate con indicazione del loro valore nell’atto medesimo della donazione, ovvero in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio”.
Anche l’accettazione richiede l’uso della forma solenne, in quanto l’art. 728, 2° comma c. c. impone che “L’accettazione puo’ essere fatta nell’atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non e’ perfetta se non dal momento in cui l’atto di accettazione e’ notificato al donante”.
Questa forma non è l’unica utilizzabile per porre in essere un atto donativo.
L’art. 809 c. c. , infatti, riconduce nell’ambito delle donazioni anche tutte le liberalità che risultano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c. c. Esso, a tal fine, afferma: “Le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari”.
Si tratta delle cosiddette donazioni indirette per le quali si fa uso di una forma differente rispetto a quella propria delle donazioni tipiche, ma caratterizzate comunque da un intento liberale. La Suprema Corte, in sede civile, precisamente, la sezione II, con sentenza n. 13684 del 16 giugno 2014 ha precisato: “L’art. 809 cod. civ., nell’indicare quali norme della donazione siano applicabili alle liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione, va interpretato restrittivamente, nel senso che alle liberalità anzidette non si applicano tutte le altre disposizioni non espressamente richiamate. Ne consegue l’inapplicabilità dell’art. 778 cod. civ., che stabilisce i limiti al mandato a donare, al mandato a stipulare un “negotium mixtum cum donatione”
La differenza fondamentale tra le donazioni dirette e quelle indirette si sostanzia proprio nell’assenza dell’obbligo della forma solenne per queste ultime.
Viene predisposto un negozio con funzione diversa per raggiungere, indirettamente, l’arricchimento in assenza del corrispettivo.
È, dunque, presente un fine ulteriore, aggiuntivo, rispetto a quello tipico del modello di riferimento consistente nella liberalità.
Ai fini qualificatori, è necessario, pertanto, valutare la causa in concreto, la funzione economico – individuale del contratto, perseguita realmente dalle parti e a prescindere dalla veste formale del negozio.
Il genitore, infatti, versando il corrispettivo dell’immobile acquistato dal figlio, pone in essere una vera e propria donazione, seppur indiretta non avendo utilizzato lo schema tipico di cui all’art. 769 c. c., ma volendo, in ogni caso, raggiungere l’intento di liberalità, di donazione.
Egli, terzo estraneo al contratto di compravendita che sarà posto in essere dal figlio e dall’attuale proprietario dell’immobile, versando denaro al figlio, in assenza di alcun corrispettivo, integra l’animus donandi, la volontà di donare, richiesta quale elemento costitutivo dall’art. 769 c. c.
La causa, variabile e astratta in tema di adempimento del terzo, corrisponde, nel caso di specie, a quella donativa anche se in assenza delle forme proprie dell’atto liberale.
Si tratta di una manifestazione dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c. c. che permette ai contraenti di influenzare il contenuto del negozio con i soli limiti stabiliti dalla legge.
È, pertanto, possibile la donazione indiretta da parte di un genitore al figlio per l’acquisto di un immobile anche versando il prezzo direttamente al venditore senza adoperare la forma proprio, tipica delle donazioni.
La Suprema Corte, sezione I, con sentenza 10 ottobre 2014, n. 21494 ha affermato che: “L’intento perseguito attraverso l’elargizione, consistente nel beneficiare il destinatario attraverso l’acquisto a del bene anziché con la mera somministrazione di una somma di denaro, rappresenta soltanto il criterio per l’individuazione dell’oggetto della liberalità, costituito nel primo caso dal bene e nel secondo dall’importo in denaro, e l’elemento di differenziazione tra la fattispecie della donazione indiretta, ricorrente nella prima ipotesi, e quella diretta, configurabile nella seconda. Tale criterio assume rilievo ai fini dell’individuazione della forma necessaria per la realizzazione dello scopo di liberalità, che nel caso della donazione diretta è costituita dall’atto pubblico, richiesto a pena di nullità dall’art. 782 cod. civ., mentre per la donazione indiretta è quella prescritta per il negozio tipico utilizzato per il conseguimento del predetto scopo, in quanto l’art. 809 cod. civ., nel dichiarare applicabili le norme che disciplinano la donazione agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769, non richiama anche l’art. 782; l’applicazione di tale principio consente pertanto di affermare la validità della donazione indiretta, ancorché posta in essere in forma diversa dall’atto pubblico, ma non esclude la necessità della relativa prova, che nel caso dell’acquisto effettuato con denaro del donante presuppone la dimostrazione dell’effettiva dazione del relativo importo all’alienante o al donatario”.
La giurisprudenza, pertanto, dà per scontato che si è al cospetto di una liberalità, di una donazione rendendosi soltanto necessario individuare correttamente il bene della stessa. Se ad essere donato è soltanto il denaro e, successivamente, il figlio, attraverso una propria libera e consapevole determinazione, compra la casa, è l’immobile oggetto della donazione. Nell’ipotesi inversa ovvero di versamento della somma direttamente nelle mani del venditore, è l’immobile a costituire l’oggetto della liberalità. Nel primo caso la donazione è diretta, con conseguente obbligo del rispetto della forma prescritta dalle norme del codice civile ovvero dell’atto pubblico; nel secondo siamo al cospetto di una donazione indiretta ponendosi in essere un negozio che ha solo il fine della liberalità per cui vige il principio generale della libertà delle forme non sussistendo l’obbligo della solennità. Si attribuisce, in tal modo, validità alla donazione indiretta anche se posta in essere con forma diversa dall’atto pubblico con prova, in caso di acquisto effettuato con denaro donato dal padre, dell’avvenuta donazione.
Ad essere valorizzato il dato sostanziale, la peculiarità del caso concreto a discapito del puro, del mero dato formalistico e astratto.
È, infatti, superato il dogma del modello tipico, di una classificazione legislativa delle tipologie dei negozi.
L’attenzione dell’esegeta è diretta al contenuto concreto, alle clausole effettivamnete sottoscritte e allo scopo avuto di mira e raggiunto.
È ampliata la portata dell’art. 1322 c. c. in una visione del diritto privato realmente idoneo a regolare i rapporti tra i consociati, scevro da qualsiasi sfumatura pubblicistica.
Emerge, pertanto, l’importanza del dato sostanziale, della libertà della forma, necessaria solo se diretta a protezione dei soggetti più deboli del rapporto contrattuale.
Si pensi, ad esempio, alle nullità di protezione tipiche dei contratti con i consumatori e idonee a richiamare l’attenzione degli stessi su clausole probabilmente vessatorie ovvero svantaggiose e sproporzionate nell’ottica dell’imprenditore.
Tale cambio di rotta è presente anche sul versante processuale laddove il mancato rispetto della forma non comporta l’invalidità dell’atto se comunque esso ha raggiunto gli scopi cui era destinato.
Punto nevralgico è, dunque, il caso concreto, la fattispecie reale in uno alle esigenze e ai bisogni ad essi sottesi.
La mancanza formale, pertanto, non impedisce la qualificazione di un contratto come un determinato tipo essendo valevole e preminente il riferimento alla causa concreta.
Tali considerazioni comportano, però, ricadute nella disciplina applicabile sollevando molteplici interrogativi dati i richiami delle disposizioni ad altri istituti dell’ordinamento.
L’immobile acquistato con denaro del padre rientra nella comunione legale dei coniugi?
Nel caso in esame, di immobile acquistato con denaro del padre, ci si è chiesti quale il regime patrimoniale della famiglia in ipotesi di esistenza di un matrimonio e in assenza di pattuizione diversa dalla comunione legale.
L’art. 177 c. c. distingue tra comunione immediata, costituita dagli acquisti compiuti dai coniugi in costanza di matrimonio e dalle aziende gestite da entrambi, da quella cosiddetta de residuo che si forma al momento di scioglimento del vincolo matrimoniale e composta dai beni non consumati e derivanti da attività separata ovvero da frutti personali.
La comunione legale, introdotta dal codice del 1942, bandita in quello del 1865 non contemplando alcuna forma di commistione totale i beni, non comprende l’intero patrimonio dei coniugi.
Sono esclusi, infatti, ai sensi dell’art. 179 c. c., i beni di natura personale comprensivi, tra gli altri, di quelli acquistati prima del matrimonio, attinenti all’esercizio della professione, ottenuti a titolo di risarcimento del danno.
L’art. 179, 1° comma lett. B) annovera anche i beni acquistati dopo il matrimonio per effetto di donazione in mancanza di una specifica attribuzione alla comunione.
Tali beni sono, dunque, personali e non costituiscono oggetto di comunione.
Il riferimento è alle donazioni e, dunque, a quelle tipiche disciplinate dall’art. 796 c. c.
Ci si è chiesti se è possibile ricomprendere nell’art. 179 c. c. anche le donazioni indirette connotate dallo spirito di liberalità, ma aventi forma diversa.
Si è osservato che il riferimento è solamente agli atti di cui all’art. 769 c. c. rinvenendosi il fondamento logico- giuridico della previsione nella volontà del legislatore di escludere dalla comunione i beni tramite cui si è realizzato l’intento di arricchimento del donante diretto ad un solo coniuge.
La comunione tutela la famiglia e, in particolare, il coniuge in posizione economicamente più debole.
Le eccezioni, pertanto, sono solo quelle contemplate dalla lettera della legge, senza possibili interpretazioni estensive o analogiche.
L’art. 179, 1° comma lett. B) si riferisce, però, esclusivamente alla donazione e non all’atto di liberalità distinguendo in base agli effetti e non alla forma.
Argomentando da tali considerazioni, l’impostazione prevalente vi ricomprende anche le donazioni indirette rientranti comunque nel genus delle donazionie caratterizzate dall’animus donandi.
Esse, infatti, mirano all’arricchimento del beneficiario alla stregua di quelle tipiche.
Il bene oggetto delle stesse è escluso dalla comunione legale per previsione espressa dell’art. 179, 1 ° comma lett. B) che le ricomprende tra le donazioni.
L’immobile acquistato dal figlio con denaro versato dal genitore al venditore è escluso dalla comunione seppur consistente in una donazione indiretta.
Tale tipo di donazione è suscettibile di collazione?
La risposta al quesito non può che essere affermativa in quanto anche la donazione indiretta può essere oggetto di donazione.
L’art. 737 c. c., infatti, obbliga i figli, i discendenti e il coniuge, concorrenti nella successione, a conferire ai coeredi quanto ricevuto dal de cuius per donazione sia diretta che indiretta.
Il capo relativo alla collazione ovvero l’atto con cui i figli, sia legittimi che naturali, essendo avvenuta la parificazione, i loro discendenti, legittimi o naturali, e i coniugi, che sono coinvolti nelle vicende successorie, imputano alla successione quanto ricevuto dal de cuius per donazione, si apre proprio con l’art. 737 c. c. che recita testualmente: “ I figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati”.
La Suprema Corte Civile, Sezione VI-2, con ordinanza n. 1506 del 22 gennaio 2018 ha ben delimitato l’ambito applicativo della norma in esame affermando:“Il presupposto dell’obbligo di collazione, ai sensi dell’art. 737 c.c., è che il soggetto ad esso tenuto abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal “de cuius”, direttamente o indirettamente tramite esborsi effettuati da quest’ultimo. Ne deriva che, se durante la vita del “de cuius” il coerede ha acquistato direttamente dal venditore la nuda proprietà di un immobile dopo che questo era stato oggetto di un preliminare di vendita concluso dalla madre con prezzo interamente da lei pagato, in sede di divisione dell’eredità paterna non vi è alcun obbligo di collazione in relazione a quell’immobile, in quanto il “de cuius”, sebbene fosse sposato in regime di comunione legale con la madre dell’acquirente, non ha mai acquistato il diritto reale trasferito al figlio, né ha sostenuto esborsi affinché il figlio lo acquistasse”
Tranne l’ipotesi di un’espressa dispensa da parte del de cuius, dunque, ben è possibile attrarre l’atto donativo in collazione non essendo soggette solo le spese menzionate dall’art. 742 c. c. ovvero “Non sono soggette a collazione le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, nè quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze. Le spese per il corredo nuziale e quelle per l’istruzione artistica o professionale sono soggette a collazione solo per quanto eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto. Non sono soggette a collazione le liberalita’ previste dal secondo comma dell’art. 770”. Sono escluse dalla collazione, pertanto, gli esborsi per il mantenimento e l’educazione essendo necessarie e trovando il proprio fondamento nella Corta fondamentale e, precisamente, nell’art. 30 della Costituzione. Ancora, le spese in caso di malattia e quelle ordinaria atte all’inizio della vita autonoma matrimoniale comprese quelle del corredo e l’istruzione artistica o professionale. Unico presupposto la proporzione rispetto alle condizioni economiche del de cuius. Altresì escluse risultano essere le liberalità d’uso ovvero quelle poste in essere in occasione di servizi resi o in conformità a quanto, secondo l’id plerumque accidit, si suole fare in quel determinato territorio.
Al contrario risultano soggette a collazione, ai sensi, dell’art. 741 c. c. anche quelle oggetto di assegnazioni varie: “E’ soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all’esercizio di una attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti”. Rientrano, contrariamente, in collazione tutto quanto il de cuius ha speso in occasione del matrimonio altrui, per la start up di un’attività produttiva o professionale o ancora per il soddisfacimento di premi dovuti in virtù di un contratto di assicurazione ovvero per il pagamento dei debiti.
Nell’ipotesi in esame è necessaria un’indagine sul bene oggetto di collazione ovvero se esso è costituito dal denaro oppure dall’immobile.
Ciò in quanto il prezzo è pagato come adempimento della compravendita dell’immobile.
Si distinguono due ipotesi.
- il genitore dona il denaro al figlio allo scopo dell’acquisto. Oggetto di collazione è lo stesso immobile. Vi è, infatti, una stretta correlazione tra la somma monetaria versata e l’immobile acquistato non essendo frutto di autonoma determinazione. Il genitore dona il denaro per un preciso scopo, l’acquisto del bene che diviene oggetto della donazione e, dunque, della futura collazione. L’art. 737 c. c., infatti, si riferisce a quanto ricevuto per donazione sia diretta che indiretta. Il richiamo è, pertanto, all’oggetto della stessa identificabile con l’immobile.
- diversa l’ipotesi in cui il genitore dona il denaro al figlio che autonomamente e successivamente decide di acquistare l’immobile. In tal caso oggetto della donazione è il denaro stesso essendo l’acquisto frutto di una determinazione successiva del figlio. La somma, pertanto, è oggetto della collazione. La collazione di denaro è prevista dall’art. 751 del c. c. che così dispone: “La collazionedel danaro donato si fa prendendo una minore quantità del danaro che si trova nell’eredità, secondo il valore legale della specie donata o di quella ad essa legalmente sostituita all’epoca dell’aperta successione”. Essa diverge da quella dei beni mobili che prevede una forma particolare prescritta dall’art. 750 c. c.: “La collazione dei mobili si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo dell’aperta successione. Se si tratta di cose delle quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate, si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente al tempo dell’aperta successione. Se si tratta di cose che con l’uso si deteriorano, il loro valore al tempo dell’aperta successione è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano. La determinazione del valore dei titoli dello Stato, degli altri titoli di credito quotati in borsa e delle derrate e delle merci il cui prezzo corrente è stabilito dalle mercuriali, si fa in base ai listini di borsa e alle mercuriali del tempo dell’aperta successione”.
Questa soluzione più recente elaborata dalla giurisprudenza in antitesi con un’atavica impostazione che inquadrava sempre l’oggetto della donazione nella somma di denaro, bene che effettivamente fuoriesce dal patrimonio del donante. Si tratta di un orientamento maggiormente formalista laddove vi è coincidenza tra l’oggetto del decremento e quello dell’arricchimento patrimoniale.
Tale esegesi è ormai de tutto superata distinguendosi tra l’ipotesi di donazione del denaro al fine dell’acquisto, ove l’immobile diviene oggetto di donazione e dunque di collazione, da quella in cui il contratto successivo di compravendita discende da libera determinazione del figlio laddove la somma assume rilievo centrale. In entrambe le ipotesi risulta, però, applicabile il disposto dell’art. 748 del c. c. relativo ai miglioramenti, alle spese e ai deterioramenti: “In tutti i casi, si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’aperta successione. Devono anche computarsi a favore del donatario le spese straordinarie da lui sostenute per la conservazione della cosa, non cagionate da sua colpa. Il donatario dal suo canto e’ obbligato per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell’immobile. Il coerede che conferisce un immobile in natura puo’ ritenerne il possesso sino all’effettivo rimborso delle somme che gli sono dovute per spese e miglioramenti”. A vantaggio del donatario, pertanto, devono essere sottratte le spese per i miglioramenti apportati al bene dal momento in cui si è aperta la successione come gli esborsi per avvenimenti straordinari e necessari per la conservazione della cosa derivanti da danneggiamenti non imputabili a sua negligenza, imperizia o imprudenza ovvero da inosservanza di norme cautelari relative all’oggetto in questione.
Al contrario, sono imputate al donatario le spese sostenute per arginare una diminuizione derivante da sua colpa per non aver adottato la necessaria diligenza nella conservazione del bene. In caso di immobile è possibile ritenere il possesso dello stesso fino all’effettivo ottenimento delle spese per i miglioramenti e gli atti conservativi.
Conclusioni
Tornando all’esame del quesito iniziale quale “Voglio aiutare mio figlio a comprare una casa dandogli dei soldi, come devo procedere?”, la risposta non è univoca.
Il genitore, infatti, in tale eventualità ha due opzioni:
- donazione di denaro al figlio che poi autonomamente deciderà di comperare l’immobile;
- il genitore può versare il denaro direttamente nelle mani del venditore della casa.
Tale ultimo caso, che rappresenta l’ipotesi maggiormente problematica e controversa in giurisprudenza, si sostanzia in un adempimento del terzo, più precisamente, integrando una forma di donazione indiretta.
L’adempimento costituisce il modo fisiologico e satisfattivo di estinzione dell’obbligazione rappresentando quest’ultima un vincolo giuridico tra le parti da cui derivano prestazioni coercibili.
Esso può essere effettuato dall’originario debitore e, in tal caso, in quanto atto dovuto, discendendo dalla stessa funzione dell’obbligazione, quella di vincolare le parti, altro non è che atto giuridico con irrilevanza della volontà delle parti in quanto obbligatorio.
Diversamente, secondo la legittimazione attribuita dall’art. 1180 c. c. può essere posto in essere da un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, un terzo, ad eccezione delle ipotesi previste dalla legge. La Suprema Corte, riunita nella sua composizione più autorevole, con s sentenza n. 9946 del 29 aprile 2009, a tal riguardo specifica che: “L’adempimento spontaneo di un’obbligazione da parte del terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., determina l’estinzione dell’obbligazione, anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce automaticamente al terzo un titolo per agire direttamente nei confronti del debitore, non essendo in tal caso configurabili né la surrogazione per volontà del creditore, prevista dall’art. 1201 c.c., né quella per volontà del debitore, prevista dall’art. 1202 c.c., né quella legale di cui all’art. 1203 n. 3 c.c., la quale presuppone che il terzo che adempie sia tenuto con altri o per altri al pagamento del debito; la consapevolezza da parte del terzo di adempiere un debito altrui esclude inoltre la surrogazione legale di cui agli artt. 1203 n. 5 e 2036, terzo comma, c.c., la quale, postulando che il pagamento sia riconducibile all’indebito soggettivo “ex latere solventis”, ma non sussistano le condizioni per la ripetizione, presuppone nel terzo la coscienza e la volontà di adempiere un debito proprio; pertanto, il terzo che abbia pagato sapendo di non essere debitore può agire unicamente per ottenere l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, stante l’indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore”.
È questo il caso del denaro versato dal padre nelle mani del venditore per l’acquisto di un figlio. La mancanza di un obbligo in capo al genitore che rimane estraneo al contratto comporta la possibilità di impugnare l’atto dinanzi al giudice anche se la volontà è viziata da errore, violenza e dolo non essendo più atto dovuto obbligatorio, il padre, in tal senso non diviene parte del negozio, ma negoziale posto in essere in aiuto del figlio.
In particolare è classificabile quale donazione indiretta definita dallo stesso legislatore all’art. 809 c. c. liberalità risultante da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 e soggetta alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari.
L’art. 179, 1° comma lett. B) annovera tra i beni personali, quindi esclusi dalla comunione legale dei coniugi, regime preferito in assenza di diverse indicazioni dei nubendi, anche i beni acquistati dopo il matrimonio per effetto di donazione in mancanza di una specifica attribuzione alla comunione.
Ci si domanda, pertanto, se rientra o meno nel regime della comunione legale anche l’immobile acquistato dal padre versando il denaro direttamente nelle mani del venditore sostanziandosi in una donazione indiretta, quindi, se ricompresa o meno nell’alveo applicativo dell’art. 179 c. c.
La disposizione così afferma: “Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
- a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
- b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
- c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
- d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;
- e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
- f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purchè ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.
L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge”.
In altri termini l’interrogativo concerne la possibilità di ricomprendere nell’art. 179 c. c. anche le donazioni indirette connotate dallo spirito di liberalità, ma aventi forma diversa.
Una prima impostazione parte dall’assunto per cui il riferimento della norma in commento è esclusivamente agli atti di cui all’art. 769 c. c. volendo del legislatore eliminare dal regime di comunione legale soltanto i beni tramite cui si è realizzato l’intento di arricchimento del donante diretto ad un solo coniuge.
Le eccezioni, pertanto, sono tassative e solo quelle contemplate dalla lettera della legge, senza possibili interpretazioni estensive o analogiche.
L’art. 179, 1° comma lett. B) si riferisce, però, esclusivamente alla donazione e non all’atto di liberalità distinguendo in base agli effetti e non alla forma.
In tale ottica la donazione indiretta sarebbe esclusa dall’applicazione dell’art. 179 c. c. con conseguente ricomprensione nella comunione legale dei coniugi anche dell’immobile acquistato con versamento diretto del denaro del genitore al venditore.
L’altro coniuge potrebbe beneficiare della casa divenendone comproprietario in senso germanistico ovvero per l’intero essendo la comunione legale tra i coniugi senza quote a differenza di quella ordinaria di cui gli artt. 1100 e ss. del c. c. laddove la quota rappresenta la misura di partecipazione nel godimento e nella disponibilità del bene.
L’impostazione prevalente, però, argomentando proprio dalla causa in concreto del negozio e dalla sussistenza dell’intento liberale, in quanto il padre vuole aiutare il figlio nell’acquisto della casa, ricomprende nell’ambito dell’art. 179 lett. B) c c. anche le donazioni indirette rientranti comunque nel genus delle donazionie caratterizzate dall’animus donandi.
Esse, infatti, mirano all’arricchimento del beneficiario alla stregua di quelle tipiche diversificandosi esclusivamente per l’assenza dell’obbligo della forma solenne.
Il bene oggetto delle stesse è escluso dalla comunione legale per previsione espressa dell’art. 179, 1 ° comma lett. B) che le ricomprende tra le donazioni.
L’immobile acquistato dal figlio con denaro versato dal genitore al venditore, aderendo a quest’ultimo orientamento, che risulta essere prevalente, è escluso dalla comunione seppur consistente in una donazione indiretta.
Ulteriore problema che si pone riguarda l’oggetto della collazione nell’ipotesi in cui il gesto del padre di versare denaro al venditore per l’acquisto della casa del figlio leda la legittima, ovvero la quota di successione per legge riservata alla categoria dei legittimari, in ipotesi di presenza di molteplicità di soggetti.
Di sicuro essa è passibile di collazione riferendosi l’art. 724 c. c. a tutto ciò che è stato donato e obbligando l’art. 737 c. c. i figli, i discendenti e il coniuge, concorrenti nella successione, a conferire ai coeredi quanto ricevuto dal de cuius per donazione sia diretta che indiretta.
Il vero problema concerne bene oggetto di collazione ovvero se esso è costituito dal denaro oppure dall’immobile data la particolarità del fenomeno in esame per cui il padre versa il denaro al venditore per l’acquisto e in adempimento dell’obbligazione del figlio.
È la casa oggetto di collazione oppure il denaro stesso?
È necessario distinguere tra due ipotesi:
- il genitore dona il denaro al figlio allo scopo dell’acquisto. In tale ipotesi oggetto di collazione è lo stesso immobile data la stretta correlazione tra la somma monetaria versata e l’immobile acquistato. Il collegamento teleologico tra le due operazioni menona l’ autonoma determinazione del figlio in quanto il versamento della somma è diretto proprio all’acquisto della casa. Il genitore ha uno scopo preciso, la somma è precisamente destinata all’acquisto del bene che non può che divenire esso stesso l’ oggetto della donazione e, dunque, della futura collazione. A trovare piena applicazione l’art. 737 c. c. che, infatti, si riferisce a tutto quanto ricevuto per donazione a prescindere dalla forma sia diretta che indiretta. Il richiamo all’oggetto della stessa non può che riferirsi con l’immobile cui la somma di denaro donata è diretta.
- differente l’ipotesi in cui il genitore dona il denaro al figlio che autonomamente e successivamente decide di acquistare l’immobile in base a una sua personale opzione senza alcuna influenza aprioristica del padre. In tal caso oggetto della donazione è il denaro stesso essendo l’acquisto frutto di una determinazione successiva del figlio. La somma, pertanto, è oggetto della collazione.
È questa la soluzione più recente elaborata dalla Suprema Corte superando un’asfittica e restrittiva interpretazione che inquadrava sempre l’oggetto della donazione nella somma di denaro, bene che effettivamente fuoriesce dal patrimonio del donante, prescindendo dalla causa in concreto e dall’esistenza o meno dell’attribuzione finalistica della somma. Quello appena menzionato è un orientamento maggiormente formalista, che attribuisce più importanza all’aspetto formale che a quello sostanziale assumendo prevalenza, quasi unica, la contestualità e la sussistenza dell’oggetto del decremento e quello dell’arricchimento patrimoniale. Tale esegesi risulta de tutto superata distinguendosi tra le due eventualità di donazione del denaro al fine dell’acquisto, ove l’immobile diviene oggetto di donazione e dunque di collazione, da quella in cui il contratto successivo di compravendita discende da libera determinazione del figlio laddove la somma assume rilievo centrale essendo rimessa a un successiva e autonoma scelta la estimazione del denaro.
Il padre, in conclusione, ben può aiutare il figlio nell’acquisto della casa sia versando direttamente il denaro al figlio attraverso una donazione sia pagando direttamente in venditore surrogandosi al reale obbligato contrattuale, cioè il figlio, sfruttando la legittimazione straordinaria attribuita dall’art. 1180 c. c. e concretizzando una donazione indiretta.
In tal caso, però, devono essere fatte alcune avvertenze:
- in quanto adempimento del terzo è impugnabile anche per vizi della volontà non concretizzandosi in un atto dovuto;
- se in regime di comunione legale l’immobile sarà escluso ai sensi dell’art. 179, 1° comma lett. B) riferendosi lo stesso sia alle donazioni dirette che a quelle indirette;
- se tale atto risulta essere lesivo della quota di legittima può rientrare in collazione o il denaro se la scelta di comprare la casa risulta essere successiva e frutto di una libera determinazione del figlio oppure lo stesso immobile nell’ipotesi inversa ovvero se il denaro è stato versato al precipuo scopo dell’acquisto.
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